“Nel ruolo della vittima”. Punire Marine Le Pen è giusto, ma impedirle di presentarsi alle elezioni porta con sé un alto rischio, ha scritto Ulrich Ladurner sul settimanale tedesco Die Zeit. La condanna in primo grado della presidente del Rassemblement National - mai come adesso vicina a sfondare il tabù di un esponente di estrema destra all’Eliseo - è un fulmine a ciel sereno per la politica francese. Ed è soprattutto l’esecuzione provvisoria della sentenza decisa dai giudici a creare un dibattito molto sentito. Ma come siamo arrivati fin qui?
Una nuova Minestra degli Esteri è pronta in tavola! Ogni lunedì, Prismag apre la sua settimana con una retrospettiva sull’attualità internazionale, letta e commentata dai giornali di tutto il mondo. Questa settimana, torniamo sulla vicenda giudiziaria Le Pen e discuteremo anche dei provvedimenti di espulsione americani a El Salvador, causa di un nuovo braccio di ferro fra i giudici e l’amministrazione Trump. Infine, non mancheremo di occuparci delle proteste che hanno scosso la Turchia.
La notizia ha scosso il panorama politico d’Oltralpe: la condanna in primo grado di Marine Le Pen per uso indebito di fondi pubblici. La sentenza, con esecuzione provvisoria, rischia di escluderla dalle presidenziali del 2027. E apre un dibattito infuocato in Francia su giustizia e democrazia. L’accusa è di aver abusato di fondi erogati dal Parlamento Europeo destinati agli assistenti parlamentari per assumere collaboratori di partito interni. C’è chi parla di “colpo di Stato giudiziario”, evocando il ritorno del golpe dei giudici denunciato in un pamphlet da Éric Zemmour nel 1997, e chi — come il leader della sinistra radicale, Jean Luc Mélenchon — difende paradossalmente il diritto della rivale a candidarsi. Il tutto mentre il RN si prepara, forse, a puntare sul pupillo di Marine, Jordan Bardella.
L’editorialista del Figaro Laurence de Charette, nel suo Bloc-Notes, puntualizza che “servono parecchi sforzi per non vedere il movimento di politicizzazione che da qualche decennio ha interessato una parte dei magistrati”. Ma gli argomenti più convincenti di questa scuola non contestano tanto la condanna di Marine Le Pen, quanto piuttosto l’esecuzione provvisoria della sentenza, non prevista dalla legge in questione e ancor meno applicabile a Marine Le Pen, che non essendo più parlamentare europea, secondo il Figaro, non è direttamente interessata da un rischio di recidiva. Una riserva identica a quella posta dal Conseil Constitutionnel, che in una sentenza recente riguardante un caso simile, ha sottolineato la necessità di osservare il criterio di proporzionalità della pena, soppesando “il danno arrecato dall’imputato nell’esercizio di un mandato pubblico, ma anche il diritto al suffragio e la libertà dell’elettore”.
Sul fronte di chi invece trova più che consono il provvedimento giudiziario, c’è l’editorialista de La Croix, Loup Besmond de Senneville, che commenta: “È per lo meno paradossale che siano proprio questi eletti, provenienti per la maggior parte da partiti che difendono l’ordine e il rigore, a voler ora sottrarsi alla severità della giustizia”. “Mani sporche, testa in basso” sbatte in prima pagina L’Humanité. Il partito lepenista, in fondo, potrà continuare a esistere e presentare un altro candidato alle prossime presidenziali.
Donald Trump ha ordinato la deportazione di 238 persone verso El Salvador, nel carcere di massima sicurezza CECOT, o “Terrorism Confinement Center”. Tra di loro, anche un cittadino espulso per errore, il saldatore del Maryland Kilman Armando Abrego Garcia, 29 anni. Le immagini degli uomini in manette pubblicate sul sito della Casa Bianca hanno sollevato un polverone mediatico e giudiziario.
L’amministrazione Trump, per emanare gli ordini di deportazione, si è appellata all’Alien Enemies Act del 1798, un provvedimento promosso dalla controversa amministrazione di John Adams e usato in tre specifiche circostanze per imprigionare o esiliare soggetti pericolosi: la guerra del 1812 con la Gran Bretagna e le due guerre mondiali. E Abrego Garcia, salvadoregno di origine a differenza di molti suoi compagni di sventura venezuelani, è stato accusato ingiustamente di appartenere a un’organizzazione schedata come terroristica dalle autorità statunitensi, MS-13, quando in realtà era scappato neanche adolescente dal suo Paese di origine in preda alle lotte fra gang e allo spadroneggiare del narcotraffico. E beneficiava, oltretutto, di uno statuto speciale di protezione proprio per le torture subite. Ma la Corte Suprema è divisa, e persino una giudice conservatrice ha espresso dubbi, in un voto che si è concluso per un soffio (5-4) per la costituzionalità dei provvedimenti trumpiani.
USA TODAY ci racconta della storia di Camilla Munoz, peruviana con la fedina penale splendente, il cui marito Brandon Bartell ha votato Trump, probabilmente con aspettative diverse da quella di vedere la propria consorte detenuta dall’Immigration and Customs Enforcement dopo pochi mesi. E pensare che, solo pochi giorni fa, un professore di Berkeley, Erwin Chemerinsky, aveva pubblicato un vibrante essay sul Los Angeles Times, augurandosi che “queste decisioni fornissero una forte indicazione alla magistratura, che dovrà poter controllare gli atti incostituzionali dell'amministrazione Trump. E se la Corte non applica la Costituzione, chi lo farà mai”? L’illusione è sempre cattiva consigliera.
Il sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu è stato arrestato con l’accusa di corruzione. Ma per molti, si tratta dell’ennesimo tentativo di Recep Tayip Erdogan di eliminare un rivale scomodo. In Turchia si mobilitano le piazze. Nel mirino, infatti, c’è anche chi osa protestare contro il carovita. Ma tutte le volte che Erdogan parla dell’opposizione, preferisce rifugiarsi nelle accuse di golpismo.
E nel frattempo, Imamoglu chiama i turchi alla rivoluzione democratica, per costruire un sistema fondato sulla giustizia e sul benessere, osserva il sito di opposizione Muhalif. A ciascuno la sua lotta, ma ad Ankara solo uno vincerà. Orizzonte 2028.
Cucchiaiata dopo cucchiaiata, siamo arrivati al termine di questa Minestra. Ti ricordo che a questo link puoi abbonarti a Prismag e sostenere questo e altri progetti: non solo riceverai a casa tua la rivista e potrai sfogliarla, anche in digitale, ma contribuirai a sostenere il giornalismo indipendente, giovane e per i giovani. A presto!
Share this post