Un Primo Ministro “eletto da Trump”? Mark Carney, Primo Ministro Canadese in carica dal 9 marzo scorso, porta a casa i frutti della sua campagna elettorale, tutta orientata alla difesa della sovranità nazionale in risposta alle uscite del Presidente americano, che da mesi va spiegando di voler fare del Canada “il 51esimo Stato americano”. E secondo il Globe and Mail, proprio la capacità di Carney di negoziare con Donald Trump è stata un asso nella manica del Partito Liberale.
Mark Carney, un liberale per la sovranità nazionale
Contro ogni previsione prima degli scorsi 20 giorni, il Partito Liberale canadese conquista 169 seggi alle elezioni legislative del 28 aprile, sfiorando la maggioranza assoluta. A guidare la rimonta è Mark Carney, ex governatore della Banca Centrale, oggi Capo del governo in via di riconferma, che ha saputo trasformare le rozze minacce di Donald Trump in un catalizzatore elettorale. A spese dei voti del NDP, un partito progressista che… non è più un partito! Complici i pessimi risultati (7 seggi), non potrà neppure accedere ai rimborsi parlamentari e al trattamento riservato dai regolamenti della Camera dei Comuni solo alle formazioni con più di 12 seggi.
Se non si è certo distinto per aver trattato con i guanti gli alleati europei, con il Canada Trump non ha esitato a sventolare minacce anche abbastanza campate in aria, come quella di farne “il 51esimo Stato americano”. Ed è vero che se il Canada oggi guarda con nuovo interesse all’Europa, condivide con il vecchio continente anche delle responsabilità, come quella di non aver considerato la possibilità di un possibile disinteresse e disimpegno degli Stati Uniti rispetto agli alleati. Insomma, l’architettura della NATO e del G7 ha costituito, negli ultimi anni, l’unica architrave della politica estera canadese. Carney, naturalmente, è stato confermato dal voto anche grazie all’enfasi con cui ha raccontato il “tradimento americano”: solo martedì scorso, appena dopo l’uscita delle prime proiezioni, il Primo Ministro si rivolgeva al popolo canadese chiedendo - cito - “unità” contro un’America che vuole “spezzarci per poterci possedere”.
Una vittoria di Pirro, però, quella di Carney: l’ex banchiere dovrà infatti formare un governo di minoranza, godendo di 169 seggi sui 173 previsti per un gabinetto di maggioranza. A incassare la sconfitta più significativa è però il leader dei Conservatori Pierre Poilièvre, che perde le elezioni e il suo stesso seggio a Carleton. Rischia di dover rinunciare alla leadership del partito se non troverà presto un altro collegio da rappresentare.
La frenata al fotofinish dei Conservatori, secondo Tristin Hopper del National Post, si deve a un’elezione che ha trasformato il Canada in un sistema pienamente bipartitico: con il voto di sinistra confluito massimamente sui liberali, nulla hanno potuto i Conservatori.
Un conflitto vecchio come i due protagonisti
Il 22 aprile, un attentato a Pahalgam – località turistica nel conteso Kashmir – ha causato la morte di 26 persone, di cui 25 cittadini indiani. L’attacco ha riacceso le tensioni tra India e Pakistan, riportando alla ribalta un conflitto che affonda le radici nella fine del colonialismo britannico, nel 1947.
La risposta indiana non si è fatta attendere: sospensione del trattato delle acque dell’Indo, chiusura di passaggi di frontiera e revoca di passaporti. Il Primo Ministro Modi ha promesso “massima libertà operativa” all’esercito, mentre si intensificano le schermaglie lungo il confine e viene istituita una no-fly zone nei confronti del Pakistan.
Per il The Telegraph, Nuova Delhi ritiene Islamabad direttamente responsabile. Il Ministro della Difesa indiano ha dichiarato: “Cercheremo non solo chi ha agito, ma anche chi ha orchestrato tutto da dietro le quinte”.
Intanto, Pahalgam si svuota: secondo i media locali, la città è diventata una “ghost town”, con un’ondata di cancellazioni turistiche. Ma il dibattito è aperto anche all’interno dell’India: The Caravan solleva dubbi sull’effettiva origine dell’attacco e The Hindu critica la sospensione unilaterale del trattato delle acque. Il quotidiano pakistano Dawn accusa Modi di sfruttare l’attentato per alimentare una retorica bellica e oscurare i problemi interni al Kashmir.
Infine, Shashi Tharoor (The Indian Express) avverte: un’escalation rischia di sabotare gli sforzi di crescita dell’India e alimentare tensioni comunitarie. “Solo l’esercito pakistano avrebbe da guadagnarci”, scrive. La sfida è chiara: reagire con determinazione senza rinunciare alla prudenza.
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