Una nuova ondata di violenza, appena tre mesi dopo la caduta di Assad. Dopo lo choc degli scontri feroci fra i miliziani alawiti e le forze regolari siriane, si aprono nuovi interrogativi su uno Stato dalla situazione a dir poco complessa. Qualche luce di speranza arriva dall’accordo recentemente concluso fra il controverso governo centrale di Damasco, guidato da Ahmed El Shabaa’, e le minoranze curdo-siriane che controllano la regione settentrionale del Paese.
Una nuova Minestra degli Esteri è pronta in tavola! Ogni lunedì, Prismag apre la sua settimana con una retrospettiva sull’attualità internazionale, letta e commentata dai giornali di tutto il mondo. Questa settimana, discuteremo i recenti sviluppi nella catastrofica situazione in Siria, torniamo sull’affaire Georgescu in Romania, e ti proponiamo anche una pagina dedicata al recente arresto di Rodrigo Duterte, ex Presidente filippino raggiunto da un mandato della Corte Penale Internazionale per i crimini commessi durante le campagne di lotta al narcotraffico.
La Siria, un Paese ancora in bilico fra collasso e speranze
In foto: Ahmed Al-Sharaa’, source: Kanal13, CC BY 3.0, via Wikimedia Commons
Pochi mesi dopo la caduta di Bashar Al-Assad, la Siria rischia di sprofondare nuovamente nel caos della guerra civile. Gli scontri recenti tra milizie alawite e forze regolari siriane, facenti capo al nuovo governo ad interim nato da una somma di forze jihadiste (HTC) che hanno portato al potere il Presidente Ahmed Al-Sharaa’, hanno sollevato nuovi interrogativi sul futuro del paese. Poco dopo la spirale di violenza che ha scosso Latakia e altre città della costa occidentale, una nuova speranza è emersa con l’accordo tra il controverso governo di Damasco e le minoranze curdo-siriane, che potrebbe segnare una svolta per la stabilità siriana. Il giornalista Lorenzo Trombetta ha sottolineato come la Siria si stia trasformando in un "grande laboratorio del Mediterraneo", dove le sfide politiche ed etniche sono più vive che mai. Ma, come lo stesso Trombetta ha scritto recentemente in un articolo su Limes, la sfida della nuova leadership siriana sarà soprattutto quella di “decidere che modello di Stato costruire”, affrancandosi possibilmente da quello coloniale o post-coloniale, prevalentemente basato sull’appartenenza etnica o confessionale.
Georgescu, itinerario di uno “sconosciuto” dall’ONU all’estrema destra
In foto: Calin Georgescu, source: Focus Creștin, CC BY 3.0, via Wikimedia Commons
La decisione di escludere Calin Georgescu dalla competizione elettorale in Romania ha scatenato forti polemiche, sollevando interrogativi sul limite della democrazia e sull’influenza dell’establishment sulle scelte elettorali. Non solo per il vizio di forma riguardante la sua candidatura, ma anche per le sue simpatie filo-russe e le sue legami con organizzazioni neonaziste. Sebbene le sue affermazioni abbiano suscitato preoccupazione, la sua esclusione potrebbe trasformarlo in un martire per i suoi sostenitori, portando acqua al mulino del suo campo, sottolinea un politologo rumeno in un intervista al quotidiano Adevarul. D’altronde, quello che molti giornali hanno definito “sconosciuto”, outsider o “noto grazie a Tiktok” - che fra l’altro ha giocato un ruolo molto pesante nelle indagini per corruzione a suo carico - è in realtà un diplomatico specializzato in questioni ambientali, con un passato in un ufficio che - eufemisticamente, verrebbe da dire - poco rispecchia le sue idee di oggi: l’Alto Commissariato ONU per i diritti umani.
Duterte all’Aia: la resa dei conti
Rodrigo Duterte, ex presidente delle Filippine, è stato arrestato con un mandato della Corte Penale Internazionale per crimini contro l'umanità. Le sue politiche repressive contro il narcotraffico, pretesto di assassini sommari e linciaggi a cielo aperto, sono al centro delle accuse. Sebbene Duterte abbia ritirato le Filippine dalla Corte nel 2019, i crimini risalgono a prima di quella data, il che ha permesso ai giudici di procedere. In una scena che ha scosso il paese, Duterte è stato arrestato in modo quasi “scenico”, mentre la sua figlia, Sara, pare già pronta a gridare vendetta, sfidando un sistema oramai centrato su Ferdinand Marcos Jr nelle elezioni a venire.
D’altronde, “il governo avrebbe potuto procedere contro Duterte, ma c’è stata una riluttanza delle vittime a denunciare. I timori di ritorsioni, i dubbi sull’indipendenza della magistratura e la radicata cultura dell’impunità li hanno portati a rivolgersi alla CPI”. È mancata un’indagine interna, insomma, scrive Antonio Contreras sul Manila Times. Ma la senatrice Leila de Lima, più volte incriminata ingiustamente, si rincuora comunque parlando di “resa dei conti: lo ha raccontato al Philippine Daily Inquirer.
Cucchiaiata dopo cucchiaiata, siamo arrivati al termine di questa Minestra. Ti ricordo che a questo link puoi abbonarti a Prismag e sostenere questo e altri progetti: non solo riceverai a casa tua la rivista e potrai sfogliarla, anche in digitale, ma contribuirai a sostenere il giornalismo indipendente, giovane e per i giovani. Noi, intanto, ci sentiamo la prossima settimana!
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