La situazione a Gaza è sempre più tesa, con una tregua debole e resa sempre più precaria dalle reciproche provocazioni di Israele e Hamas. Il nuovo piano di pace proposto dalla Lega Araba tenta una soluzione duratura, dopo la controversa proposta di Donald Trump di trasformare Gaza in una sorta di “riviera del Medio Oriente”.
Una nuova Minestra degli Esteri è pronta in tavola! Ogni lunedì, Prismag apre la sua settimana con una retrospettiva sull’attualità internazionale, letta e commentata dai giornali di tutto il mondo. Questa settimana, un occhio alla tragica odissea di guerra civile in Sudan e una pagina dedicata al recente piano proposto da Ursula Von Der Leyen per consentire agli Stati europei di potenziare i propri apparati militari.
L’impossibile piano di pace
A inizio marzo, al Cairo, è stato presentato un piano che rifiuta categoricamente l’idea di trasferimento forzato dei Palestinesi, e che si propone di adottare come simbolo di resilienza l'olivo, segno di pace e speranza. Al-Sisi ha infatti chiamato a raccolta gli Stati membri della Lega Araba, un’organizzazione che aveva finora limitato le prese di posizione su Gaza. Ma questo piano, purtroppo, è segnato da divisioni interne e da una lunga lista di promesse non ancora realizzate, come la tanto discussa “soluzione a due Stati”.
Investimenti per 53 miliardi di dollari e la ricostruzione di Gaza sono tra le principali previsioni, ma rimangono ancora molte questioni irrisolte, soprattutto in tema di sicurezza. E se da una parte i Paesi arabi sono scesi in campo contro la proposta di Trump, alcuni, come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi, sono restii a impegnarsi senza la neutralizzazione di Hamas. La politica in Medio Oriente sembra essere sempre più un gioco di equilibri sottili, e questo piano non fa eccezione.
Da una prospettiva particolarmente critica, la scrittrice tunisina Soumaya Ghannoushi che su Middle East Eye scrive che “l’Egitto, la Giordania, l’Arabia Saudita hanno disegnato una linea nella sabbia, rifiutando il trasferimento forzato dei Palestinesi”. Ma “l’opposizione dei tre Stati arabi non era una questione di “chiarezza morale, ma di auto-preservazione”. Ma cosa c’è di più legittimo di una sana dose di Realpolitik, se questa permette altresì di salvaguardare la propria reputazione?
Il sangue di Khartoum
Spostiamoci in Sudan, dove la guerra civile continua a devastare il paese. La situazione è tragica: in meno di due anni, il conflitto tra l’esercito regolare e le forze paramilitari, le Rapid Support Force, ha portato il paese sull’orlo del collasso. Ora che proprio le truppe del generale Al-Burhan (in foto) sembrano prevalere sulle milizie di RSF - nota ancora Lydia Namubiru su The Continent - “le truppe di Hemeti (RSF) sono ancora ben insediate nel Darfur e in certe parti del Korfodan del Nord, e Hemeti cerca di formare un governo parallelo attraverso una coalizione di forze civili”.
Le vittime civili si contano a centinaia, e con l'intervento di attori regionali, la situazione sembra destinata a restare senza soluzione. Mentre le forze dell’RSF controllano ancora il Darfur, l’esercito regolare sta cercando di riprendersi Khartoum. Il tutto mentre milioni di persone soffrono la fame, e gli ospedali chiudono uno dopo l’altro, messi alle strette dal blocco dei fondi USAid di Elon Musk e Donald Trump. Un paradigma tragicamente perfetto di guerra civile, dove non esiste distinzione fra violenza pubblica e privata, fra combattenti e non.
Il riarmo in Europa
Chiudiamo con un salto in Europa, dove il riarmo diventa un tema caldo. Ursula von der Leyen aveva già proposto un piano che, fra fondi da destinare agli apparati militari e scostamenti straordinari, mobiliterebbe circa 800 miliardi di euro, ma Emmanuel Macron ha rapidamente rilanciato con la proposta di una "condivisione nucleare" tra i Paesi membri, ovviamente alimentata solo dalle (poche) testate francesi e per questo difficilmente credibile. Nonostante l’enfasi sulla cooperazione, la politica di difesa europea rimane frammentata, con molti Stati preoccupati per gli effetti che questa mobilitazione possa avere sulle loro economie e politiche interne. Macron cerca di rassicurare, ma le tensioni restano alte.
E poco contano le formule di retorica spiccia quali “La Patria ha bisogno di voi”. Se è vero che l’allocuzione di Macron era di “rara solennità”, commenta Nicolas Vanderschrick sull’emittente belga RTBF, “dietro queste frasi sta un richiamo a fare sforzi, sforzi che non potranno che sacrificare i modelli di welfare europeo”. La cosa indispone naturalmente i quotidiani di sinistra, come L’Humanité, che titolava nella giornata di giovedì: “Per la guerra, non c’è austerità”. Scrive Sébastien Crépol nel suo editoriale: una pozione amara, “tanto più che ancora non se ne conoscono gli effetti”. Vincent Hervouet ricorda sulla stazione radiofonica Europe 1 che sì, il “Presidente che chiama alla mobilitazione per la prima volta dai tempi di de Gaulle non ha mai fatto servizio di leva”. Ma il vantaggio dell’Europa è quello di rappresentarsi come un faro che lampeggia in lontananza “quando l’orizzonte è completamente ostruito”. Detto così, suona già un po’ meglio.
Cucchiaiata dopo cucchiaiata, siamo arrivati al termine di questa Minestra. Ti ricordo che a questo link puoi abbonarti a Prismag e sostenere questo e altri progetti: non solo riceverai a casa tua la rivista e potrai sfogliarla, anche in digitale, ma contribuirai a sostenere il giornalismo indipendente, giovane e per i giovani. Noi, intanto, ci sentiamo la prossima settimana!
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