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Sono Michele Ceci ed è con immenso piacere che ti annuncio l’inizio di questa nuova newsletter, La Minestra degli Esteri. Ogni settimana - in abbinamento al podcast di cui trovate qui sopra un primo assaggio e su tutte le piattaforme di ascolto - cercherò di portarti in questo spazio “tutti i colori” dell’attualità internazionale. Per fare il punto sulla settimana che va concludendosi e anticipare quella che si annuncia.
Ma prima di addentrarci nella prima puntata, ti ricordo che è in corso la nostra campagna di finanziamento per il secondo anno di Prismag. È solo grazie ai nostri lettori, come te, che possiamo continuare a fare informazione e allargare la nostra offerta editoriale. Ogni aiuto, piccolo o grande che sia, ci permette di mettere un mattoncino con cui costruire il nostro sogno: un giornale libero, per tutti, giovane e fatto dai giovani. Trovi tutte le informazioni al tasto qui sotto!
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L'Europa e la sfida Trump: paura o opportunità?
La domanda che sta occupando le cancellerie europee è una sola: come si comporterà l’America di Trump con i tradizionali alleati in Europa? La vittoria di Donald Trump, che ha sorpreso molti, sta creando preoccupazione tra i leader europei. Mentre le cancellerie si rifugiano nell'auspicio che Trump non prenda piede tra gli elettori americani, ora che ha riacquistato la Casa Bianca, il sentimento dominante è di agitazione.
Secondo molti commentatori, come Bernard Cazeneuve su L'Opinion, l’Europa si trova di fronte a una doppia minaccia: divisione interna e marginalizzazione a livello globale. Altolà alle soluzioni che metterebbero a rischio la solidarietà fra i Paesi membri, per quanto sia forte, per molti, la tentazione di recarsi a Washington per negoziare singolarmente, attraverso trattati bilaterali, le proprie garanzie di sicurezza e i propri accordi commerciali. Nessuno può affermare che l’Europa abbia fatto tutto per prepararsi a una possibile vittoria di Trump, secondo Giovanni di Lorenzo, direttore di Die Zeit. Dal canto suo, la Gran Bretagna guarda con impassibile freddezza alla possibile fine della "Special Relationship" con gli Stati Uniti, una relazione storica che ha definito la sua strategia di sicurezza dal secondo dopoguerra. La situazione, insomma, è incerta: l'Europa dovrà decidere se camminare sulle proprie gambe o continuare a inseguire Washington.
Krise in Berlin: la Germania a un bivio, la SPD sulla graticola
Sul fronte interno, la Germania vive probabilmente la più sorprendente stagione di instabilità della sua storia democratica. Il Cancelliere Olaf Scholz ha licenziato il Ministro delle Finanze Christian Lindner, causando un terremoto politico nella fragile coalizione "Ampel". Semaforo rosso, per il suo governo. La crisi è acuita dalla bocciatura da parte della Corte Costituzionale della proposta di trasferire 60 miliardi di euro per la transizione energetica, una decisione che ha ridotto la già scarsa fiducia nei confronti del governo. La SPD (i socialisti tedeschi), il partito di Scholz, teme di finire addirittura come quarto partito alle prossime elezioni, dietro CDU, AfD e Verdi. La soluzione potrebbe essere un nuovo leader, ma il tempo per un cambiamento radicale è ormai scarso.
I commentatori tedeschi sono divisi. Da un lato, la Süddeutsche Zeitung invita la SPD a sostituire Scholz con un nuovo candidato. Invano: lo scorso 25 novembre, il board del partito ha confermato la ricandidatura di Scholz. Dall’altro, l’opposizione, guidata dalla CDU, prevede nuove opportunità per riformare la Germania. L’estrema destra (AfD) è già pronta a sfruttare la crisi, ventilando una nuova alleanza fra CDU e Verdi, vera conventio ad excludendum. Ad accusare di debolezza e remissione il leader della CDU Friedrich Merz è, fra gli altri, Dieter Stein, direttore del settimanale ultraconservatore “Junge Freiheit”. Intanto, molti si chiedono se la Germania riuscirà a svegliarsi dal suo sogno di "superpotenza morale" o se continuerà a vivere nell’illusione dell’interdipendenza.
Francia, la morsa del ferro di cavallo
E, come se nulla fosse, la scorsa settimana anche il governo francese - guidato dall’ex commissario europeo Michel Barnier, pur noto per le sue capacità di conciliazione - è stato costretto a rassegnare le proprie dimissioni dopo il voto di una mozione di censura dell’Assemblea Nazionale, che ha unito - secondo la vecchia teoria del “ferro di cavallo” - il Rassemblement National di Marine Le Pen e il Nouveau Front Populaire, alleanza delle sinistre guidata dall’istrionico Jean Luc Mélenchon. La palla torna ora al Presidente Emmanuel Macron, che promette di nominare entro i prossimi giorni un nuovo Governo. Scalda i motori il barone centrista François Bayrou, ma l’incarico si preannuncia complesso: l’obiettivo è convincere i socialisti a sganciare i legami con La France Insoumise e i Verdi, che hanno però assicurato la sopravvivenza politica al Partito che, nel 2026, rischia di perdere in un sol colpo anche la guida della Capitale. Croce e delizia del sistema semi-presidenziale e, soprattutto, del sistema maggioritario, duramente criticato anche dall’estrema destra di Le Pen.
La crisi ad Haiti: un Paese sull'orlo del collasso
Anche ad Haiti la situazione è tutto fuorché serena. Negli ultimi giorni, il paese situato sull’isola di Hispaniola ha vissuto scene di violenza simili a quelle di una guerra civile, con bande criminali che controllano gran parte del territorio. Un attentato che ha colpito due aerei di linea ha spinto le principali compagnie aeree americane a sospendere i voli verso l’isola, mentre le forze di sicurezza locali non sembrano in grado di fermare l’escalation di violenze.
La Repubblica caraibica è intrappolata da anni in una spirale di instabilità politica, con un governo che lotta per far sentire la sua voce contro l’avanzata inquietante delle organizzazioni criminali di strada, divise fra stupri, saccheggi, violenze raccapriccianti e narcotraffico en plein air. Dall’assassinio di Jovenel Moise, Haiti non ha neppure un vero Capo dello Stato: la reggenza è stata tenuta fino allo scorso aprile da Ariel Henry (dimessosi per la totale incapacità di conseguire qualsivoglia risultato nel confronto con le bande criminali) e, da allora, è assicurata da un Consiglio di transizione, che ha recentemente deposto dalla guida del governo il medico Garry Conille, figura dai prestigiosi trascorsi accademici, legata alla vecchia esperienza autoritaria di François e Jean Claude Duvalier, alias Papa Doc e Baby Doc. Toccherà a Didier Fils-Aimé prendere le redini del governo.
La missione umanitaria multinazionale guidata dal Kenya, sotto egida ONU, si propone da più di un anno di rendere più vivibili almeno i quartieri popolari, ma - complice la carenza di effettivi e personale - la sua inefficacia è evidente. Secondo Inside Over, le bande criminali controllano circa l’80% del territorio metropolitano.
In breve…
Donald Trump e Marco Rubio: In vista dell'insediamento ufficiale della sua amministrazione il prossimo 20 gennaio, Trump ha scelto il senatore Marco Rubio come Segretario di Stato. Un articolo su UnHerd lo definisce un "falco, ma non un neoconservatore", un personaggio che punta più sulla realpolitik che sulle vecchie illusioni dell’ordine liberale. Insomma, non è più il caso di spedire soldati ai quattro angoli del pianeta in nome della democrazia da esportare o, per esempio, nel tentativo di impartire lezioni di femminismo ai talebani. Guai a immaginare, però, con Rubio sulla tolda di comando del Dipartimento di Stato, una perdita di fiato nella competizione con l’Iran e, soprattutto, con la Cina di Xi, vero e proprio rivale strategico nella nuova pivotal region della politica estera USA: l’Indo-Pacifico e il Sud-est asiatico.
Muhoozi Kainerugaba e l’influenza russa in Africa: il degno successore di Idi Amin, per le caratteristiche caricaturali della sua personalità e delle sue aspirazioni nepotistiche. Figlio del presidente ugandese Yoweri Museveni, Muhoozi comanda le forze speciali dell’Esercito di Kampala è un personaggio centrale nella politica ugandese e brama per succedere al padre, che occupa la poltrona presidenziale dal 1986. Amico di Vladimir Putin e sostenitore di Donald Trump, Kainerugaba è visto come una pedina per l'espansione dell'influenza russa nell'Africa anglofona. Trovate un suo bel ritratto sul sito del Sunday Telegraph.
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