We, the people
Questa settimana su Hijack, A tribe called quest e la profezia che si è avverata
Nel 2016 fu detta una profezia, una profezia che da allora non smette di avverarsi. Parlava dell’arrivo di un uomo alla guida della più contraddittoria, escludente e divisa nazione del Primo mondo. Un multimiliardario che ottene il potere promettendo una nuova terra delle opportunità, ma solo per pochi.
Il suo messaggio era più o meno questo:
All you Black folks, you must go
All you Mexicans, you must go
And all you poor folks, you must go
Muslims and gays, boy, we hate your ways
So all you bad folks, you must go
Ad annunciare la sventura furono gli A tribe called quest (Atqc), storica formazione che ha fatto la storia dell’hip hop sperimentale made in east coast, che nel 2016 sono tornati in scena con il loro We got it from Here... Thank You 4 Your service. L’album fu pubblicato a novembre, pochi giorni dopo la prima vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali Usa. Nove anni dopo, è ancora il cantico degli esclusi dal sogno americano, ormai prossimo a scivolare nella distopia, in questi tempi di minacce e deportazioni a favore di camera.
Io sono K. e questa è Hijack, la newsletter per dirottare il tuo algoritmo musicale.
Esce giovedì, di solito ogni due settimane. Iniziamo.
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La contro-costituzione
La citazione che avete appena letto è presa dal testo di We the people…. il secondo pezzo dell’album che ha rotto il silenzio lungo 18 anni degli Atqc, cioè Q-tip, Ali Shaheed Muhammad e il compianto Phife Dawg, morto per complicazioni del diabete a marzo 2016. Arrivati dal Queens (New York) per diventare pionieri dell’hip hop più sperimentale insieme ai De La Soul, tra il 1990 e il 1998 pubblicano cinque album, tra cui due pietre angolari del genere: The Low end theory e Midnight Marauders. Ne riparleremo.
Scordatevi il machismo del rap west coast o le voci cybotroniche che riecheggiano da Atlanta, qui stiamo su groove da 95bpm in media e una cultura sampledelica che spazia da Lou Reed e arriva fino ai Black Sabbath. Il loop di batteria di We the people…. è preso da Behind the wall of sleep, con il chitarrista Tony Iommi e Ozzy Osbourne accreditati tra gli autori del pezzo.
C’è chi dopo 18 anni senza pubblicare nulla mette in piedi un’operazione nostalgia. Quella degli Atqc, invece, è un’operazione dettata dall’urgenza di scrivere la contro-costituzione americana. Una nuova carta contro la società che ha abolito la segregazione razziale, ma non il razzismo. Una nazione che ha promesso a tutti la stessa meta, ma non le scarpe per raggiungerla:
We don't believe you 'cause we the people
Are still here in the rear, ayo, we don't need you
«The saddest part is just how relevant this song is once again», la cosa più triste è quanto questa canzone sia ancora attuale, ha scritto due mesi fa un utente Youtube nei commenti sotto al video ufficiale. È la forza della profezia di We got it…., arrivata dalle stelle per illuminare le contraddizioni della società statunitense. In molti hanno creduto alle loro parole e collaborato alla stesura dell’album: tra questi, Andersoon .Paak e Kendrik Lamar, che nel 2016 aveva già pubblicato i fortunati Good kid, m.A.A.d city e To pimp a butterfly. Sue le barre di Conrad Tokyo, la quattordicesima traccia del disco.
«Non c’è un programma spaziale per noi»
Ciò che un tempo era promessa d’ispirazione per poeti, divinatori e scrittori di fantascienza, oggi lo spazio è ridotto a settore di mercato e - forse - prossimo campo di battaglia per i tecno-Stati di domani. E con The Space program, gli Atqc sono qui a ricordarci che il sogno di un’umanità in pace, e unita sotto il cielo stellato è soltanto un futuro ingenuo, che non è stato:
They taking off to Mars, got the space vessels overflowing
What, you think they want us there? All us niggas not going
Riascoltando We got it….sorge spontanea una domanda: per chi è il futuro che si sta dischiudendo sotto i nostri sguardi?
Al prossimo dirottamento.