Morire per un ideale: viaggio a Teheran
Questa settimana ti portiamo in Iran, dove ogni anno quasi mille persone vengono giustiziate (anche) per le loro idee
Anche tu, almeno una volta nella vita, ti sarai sentito o sentita (o ti sentirai) represso o repressa. Perché la repressione non è solo quella delle proteste pacifiche disperse a colpi di lacrimogeni e proiettili di gomma. O quella degli oppositori politici trascinati via in manette davanti alle telecamere.
Da qui, la decisione di dedicare il quattordicesimo numero di Prismag a questo tema. Per dar voce a chi non può difendersi da solo. Denunciare sistemi che usano la violenza e l’intimidazione per mantenere il potere e punire il dissenso. Perché fare luce sulle ingiustizie è un primo, imprescindibile passo verso il cambiamento. E forse un dovere, soprattutto di noi giovani. Il nostro racconto, questa settimana, ci porta a Teheran, dove la repressione è la normalità. Partiamo.
La macchina della morte iraniana
Novecentosettantacinque condanne capitali nel 2024. Di queste, meno del 10% annunciato ufficialmente dalle autorità. Benvenuti a Teheran.
Il 17° rapporto annuale sulla pena di morte in Iran – pubblicato da Iran Human Rights (IHRNGO) ed ECPM (Together Against the Death Penalty) – documenta e analizza l’uso della pena capitale nella Repubblica islamica dell’Iran nel 2024. Confermando una triste realtà: la pena di morte continua a essere impiegata come uno strumento di repressione e controllo, in un contesto segnato dall’assenza di garanzie legali, dalla mancanza di responsabilità e dal costante rischio per coloro che provano a documentare queste violazioni.
Il documento evidenzia che nel 2024 sono state eseguite almeno 975 condanne capitali, con un preoccupante incremento del 17% rispetto alle 834 registrate nell’anno precedente. Soltanto 95 di queste esecuzioni (meno del 10%) sono state annunciate ufficialmente dalle autorità: un dato che sottolinea, ancora una volta, la scarsissima trasparenza statale. La pratica di non divulgare la maggior parte delle esecuzioni impedisce di conoscere la reale estensione del fenomeno e rende difficile il lavoro di monitoraggio, analisi e denuncia sia da parte delle organizzazioni per i diritti umani sia della comunità internazionale.
Un’alta percentuale di esecuzioni riguarda reati legati alla droga: almeno 503 persone sono state giustiziate per questo tipo di accuse, in netta crescita rispetto agli anni precedenti. Le pene capitali per reati di droga colpiscono in maniera particolare le fasce sociali più marginalizzate, comprese alcune minoranze etniche.
Altri 419 detenuti sono stati messi a morte per omicidio in base alla legge del qisas (la “retribuzione in natura”), che affida alle famiglie delle vittime la possibilità di perdonare o richiedere l’esecuzione del condannato. L’assenza di un tetto legale al diya (il “prezzo del sangue”) spesso rende impossibile per i condannati raccogliere la somma necessaria a evitare la forca.
Nonostante gli obblighi internazionali che vietano espressamente la pena di morte per i minori al momento del reato, nel 2024 l’Iran ha proseguito queste esecuzioni: almeno un minorenne è stato messo a morte, mentre sono in corso le indagini su altri tre possibili casi. Quattro condanne sono state eseguite in pubblico.
Le donne giustiziate sono state almeno 31, un picco mai raggiunto da quando Iran Human Rights ha iniziato a monitorare questo fenomeno nel 2007. Dietro a queste cifre ci sono leggi e norme fortemente discriminatorie che rendono le donne particolarmente vulnerabili, in un contesto in cui gli imputati – uomini o no – difficilmente ottengono un processo equo.
Di fronte a questi numeri, non è un caso che proprio il 2024 sia stato di una crescita dei movimenti abolizionisti interni ed esterni all’Iran. È nata la campagna “No Death Penalty Tuesdays” (i “Martedì senza pena di morte”), un’iniziativa lanciata dai prigionieri stessi che ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale e internazionale. Una mobilitazione che, secondo il direttore dell’IHRNGO, Mahmood Amiry-Moghaddam, segna un passaggio cruciale per mettere in discussione globalmente la pena di morte in quanto tale.
Allo stesso tempo, il rapporto sottolinea come la cooperazione in materia di lotta alla droga tra l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC) e le autorità iraniane rischi di trasformarsi in una forma di complicità, se non accompagnata da garanzie rigorose per fermare le esecuzioni legate alle accuse di narcotraffico. IHRNGO ed ECPM, insieme ad altre 84 organizzazioni per i diritti umani, hanno sollecitato l’UNODC a sospendere la collaborazione con l’Iran fino a quando questa ondata di esecuzioni non si arresterà.
Guardando al futuro, la Missione internazionale indipendente di accertamento dei fatti (FFMI) presenterà il proprio rapporto conclusivo sulla situazione dei diritti umani in Iran a marzo 2025, nel corso della 58a sessione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite.
Tuttavia, secondo l’analisi di IHRNGO ed ECPM, l’impunità rimane uno dei principali ostacoli a qualunque miglioramento della situazione: in assenza di un meccanismo di responsabilità internazionale permanente, la Repubblica islamica continuerà a fare largo uso della pena di morte come strumento di oppressione.
Dalle tigri alle mosche: la repressione cinese in finanza e difesa
La campagna anticorruzione del presidente cinese Xi Jinping, avviata nel 2012, colpisce funzionari di ogni livello: dalle “tigri” dell’alta finanza e della difesa alle “mosche” dell’amministrazione locale. Figure di spicco come Lai Xiaomin o Liu Liange sono state condannate a morte, mentre altre, tra cui Jack Ma, fondatore del colosso Alibaba, hanno subito censure o arresti. Obiettivo del Partito comunista è consolidare il proprio controllo sui potentati economici e rispondere al malcontento popolare per le disuguaglianze, mostrando durezza contro gli abusi.
La stessa logica di repressione si applica al comparto militare, dove numerose epurazioni nella Rocket Force e nelle alte sfere dell’Esercito popolare di liberazione mirano a rafforzare l’apparato e ridurre il divario con gli Stati Uniti. Al contempo, voci critiche come l’economista Gao Shanwen, colpevoli di mettere in dubbio i dati ufficiali, subiscono pressioni o finiscono ai margini. Xi punta, dunque, a ridefinire la ricchezza privata come subordinata agli obiettivi di stabilità nazionale e prosperità condivisa.
Per conoscere tutta la storia, leggi l’articolo di Simone del Rosso qui.
Lottare contro la repressione
Rifrazione termina qui. La speranza, come sempre, è di essere riusciti a suscitare in te la voglia di saperne di più del mondo che ti circonda.
Se vuoi saperne di più, lo sai già: vai sul nostro shop, dove troverai non solo il numero “Sulla repressione”, ma anche tutte le altre nostre uscite. Avrai accesso a storie esclusive, approfondimenti, notizie che non leggerai altrove. Tutto in una rivista compatta e coloratissima.
Se poi vuoi aiutare il nostro progetto a crescere (grazie, grazie, grazie!), inoltra questa newsletter a chi pensi, come te, vuole tornare a leggere le notizie a colori. Ci leggiamo il prossimo weekend!