Questo è un viaggio nel buio di una mente inquieta, ma vi avviso potrebbe piacervi. Dietro la rugginosa copertina di questo album, c’è il buio desolante in cui stiamo per addentrarci. Dall’ombra emerge il profilo titubante di quello che sembra umano, perché la disturbante oscurità è troppo fitta per ipotizzare oltre. Questa è la puntata uno dedicata a Maxinquaye, primo album di Tricky uscito nel 20 febbraio 1995 e che oggi (20/02/25) compie 30 anni.
Io vi ho avvertito.
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«English upbringing, background caribbean»
I fatti anagrafici sono l’unico elemento di realtà in un itinerario sull’orlo di una crisi di nervi: classe 1968, Adrian Thaws è nato a Knowle West, sobborgo popolare di Bristol, città del nordovest inglese nota per aver dato i natali a Banksy e ai Massive Attack, con cui Tricky ha lavorato per il fortunato esordio del super gruppo: Blue Lines. Ne riparleremo, ma intanto date un ascolto a Daydreaming e all’omonimo brano Blue Lines, prima affermazione di identità di Tricky. O forse la prima picconata sferrata nel tentativo di demolirla, come le seguenti barre suggeriscono:
Beautiful thoughts means I dream too much
Even if I told you, you still would not know me
Tricky never does, adrian mostly gets lonely
How we live in this existence, just being
English upbringing, background caribbean
Nato da padre giamaicano mai conosciuto e madre anglo-ghanese, l’identità è un concetto senza significato per Thaws. Come raccontò a Mark Fisher in un’intervista per The Wire:
«Sono cresciuto in un ghetto bianco. Mio padre è giamaicano, mia nonna è bianca. Quando ero bambino, fino ai 16 anni circa, tutto sembrava normale. Poi, quando mi sono trasferito in un ghetto multietnico, avevo amici lì e loro mi dicevano: "Perché stai con quei ragazzi skinhead, quei bianchi?" E i miei amici skinhead dicevano: "Perché stai con quei ragazzi neri?" Non riuscivo a capirlo, non lo comprendevo».
Ma il vero, traumatico elemento di realtà nella biografia di Tricky è il suicidio della madre Maxine Quaye, avvenuto quando lui era ancora bambino. Da questa lacerazione scaturisce la cellula tematica del suo primo lavoro da solista, nato dalla collaborazione con la cantante Martina Topley-Bird, il suo alter ego artistico, la voce femminile dietro cui sparire, il suo doppio. I suoi versi fungono da amplificatore mentale-elettronico per far risonare un dolore paranoico, ma sempre celato da una cortina di fumo e smog, strati di beat claudicanti e fraseggi solitari al limite del delirio, mugugni sepolti sotto la malìa versi di Topley-Bird. Poi al minuto 3.31 di Aftermath, il sesto brano dell’album, c’è un campionamento preso da un film:
Let me tell you about my mother
Dura appena nemmeno due secondi, quanto basta per chiederti se l’hai sentito davvero. La frase è presa da Blade Runner, il noir fantascientifico di Ridley Scott che ha plasmato l’estetica cyberpunk successiva. Viene pronunciata da Leon, il replicante sotto interrogatorio all’inizio del film, prima di sparare all’agente che lo sta torchiando. Anche la vulnerabilità più profonda è dissimulata dietro il paravento di un sample.
Il narcosista
Ci sono persone pronte a tutto per 15 minuti sotto i riflettori, con indosso la miglior maschera di se stessi in cerca di un frammento di approvazione. Tricky va nella direzione opposta: più che tensione orientata alla visibilità, Maxinquaye è l’inquietante ricerca dell’evanescenza, della spettralità, della fuga dal sé lungo vie dei sussurri. È una voce di donna che arriva da chissà dove, uno schermo per la mente sconvolta di Adrian Thaws.
Come scrisse Kodwo Eshun in Più brillante del sole:
Tricky non è tanto un narcisista quanto un narcosista. I narcisisti non fumano mai, non fanno mai uso di droghe perché le droghe ti fanno perdere tempo, tempo prezioso che il narcisista può usare per sé. Il narcisista si sballa con infinite droghe si se stesso. […] Per il narcosista, invece, il sé se ne va in fumo. Essere è un fardello insostenibile.
Potrebbe essere questa la chiave per immergersi nella coltre alonata di Maxinquaye, un ansiogeno mix hip hop Usa - di cui Tricky è un appassionato - combinato alle linee melodiche di Martina Topley-Bird, inquietanti perché con la loro presenza non fanno altro che martellarti con una domanda: da dove arriva la voce risonante tra le macerie?
Ascoltare questo album è come cercare di afferrare il fumo di una sigaretta con le mani, mentre all’orizzonte si stagliano i fari alonati della città: suggestivo, ma impossibile. In un’epoca dove i disturbi mentali vengono declassati a fatto privato - tacendo sulle cause sociali che li hanno scatenati - Maxinquaye tratteggia un paesaggio di rovine per una generazione senza futuro.
Come scrisse il critico musicale Simon Reynold:
È questa ferita primordiale [la morte di sua madre] che lo rende un'antenna sintonizzata sulle frequenze dell'angoscia e della morte, emananti dalla cultura [della droga]. Terre vuote, limbi abbandonati, zone delle conseguenze, rive desertiche: le canzoni di Tricky sono i paesaggi mentali di una generazione che ha perso la capacità di sognare "un posto migliore." Il vasto nulla della sua musica esternalizza il vuoto interiore lasciato quando l'immaginazione utopica appassisce e muore. Eppure, l'ultima canzone di Maxinquaye, l'incredibilmente bella "Feed Me", sembra offrire un crudele barlume di speranza – un sogno della terra promessa, o della madrepatria perduta (forse lo stesso Maxinquaye?), un luogo "in cui ci insegnano a diventare forti/fortemente sensibili." La canzone è incerta, quasi provocatoria – come un miraggio. "Irreale, sì," mormora Tricky.
Il sogno non finisce qui. Ci sentiamo tra due settimane
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Ho questo disco più o meno da quando è uscito e alcuni brani me li porto dietro in mp3. Mi è piaciuta la recensione e ho apprezzato le note biografiche che mi mancavano! Buon lavoro!