La mossa del Jaguàr
La storica causa automobilistica si gioca la carta del rebrand. Rischiando di finire come Harley Davidson
Di Francesco Stati
Quando un’azienda sceglie di effettuare un rebrand suscita molto spesso reazioni contrastanti. C’è chi l’accuserà di non avere più idee, chi ne sarà entusiasta. Altri ancora si sentiranno traditi dalla scelta del proprio marchio preferito. Il caso che ha riguardato la Jaguar, tra le più iconiche case automobilistiche di lusso, sembra andare in quest’ultima direzione. Complice dello straniamento generale, una campagna basata su una forte identità visiva: immaginati di andare a dormire identificando un brand con un giaguaro, predatore sanguinario, e svegliarti il giorno dopo con modelli e modelle con colori sgargianti e abbigliamento futuristico a farla da padrone. Altro che Goodbye Lenin…
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Quando cambiare è un rischio
Colori sgargianti. Scenari futuristici. Modelli e modelle glaciali e, soprattutto, nessuna auto. La campagna pubblicitaria di Jaguar, che il 19 novembre ha svelato al mondo la sua nuova identità full electric, ha stravolto la storia centenaria del marchio di auto di lusso britannico. «Jaguar è un brand rinnovato che è stato costruito intorno al concetto di Exuberant Modernism. È geniale, audace e artisticamente valido in ogni suo aspetto. È unico e impavido, fearless», scrive sul sito dell’azienda Gerry McGovern OBE, Chief Creative Officer del marchio. «Stiamo creando il nuovo brand per il futuro, ripristinando il suo status di marchio che arricchisce la vita dei nostri clienti e della comunità Jaguar», prosegue McGovern.
La mossa, però, non è piaciuta agli aficionados del giaguaro, che hanno accusato la casa automobilistica di aver sposato l’ideologia “woke” come fatto in passato dalla Budweiser nella campagna promozionale per la sua birra analcolica. A prescindere dalla fondatezza dell’accusa, però, a colpire è la distanza tra messaggio veicolato dallo spot e le attese del cliente tipo del segmento delle auto di lusso. «L’identità di marca è l’insieme dei valori, della visione e delle promesse che un brand rappresenta», scrive Matteo Flora, tra le altre cose docente di Corporate reputation all’università di Pavia. «Questi elementi non sono arbitrari: nascono dall’analisi dei tratti caratterizzanti della customer base, non da ipotesi o stereotipi».
Lo spot di Jaguar, secondo Flora, viola questi principi e molto altro. «La comunicazione non ha valorizzato le aspettative del cliente tipico del brand – eleganza, successo, performance – bensì ha introdotto elementi che rischiano di alienarlo. Il risultato? Polemiche, danno reputazionale e una percezione di incoerenza con l’identità storica. L’efficacia di una strategia di branding non sta nel cambiare il cliente, ma nel comprenderlo a fondo. Le decisioni comunicative dovrebbero basarsi su dati concreti, su un’analisi precisa della customer base, evitando approcci dissonanti che possono compromettere il posizionamento del marchio. Devi vendere, non fare la morale».
Giaguari e sciacalli
C’è uno spot di un grosso marchio di auto che sta per puntare sul segmento dell’elettrico. Lo spot strizza l’occhio alla diversità, all’inclusione. L’auto sarà di lusso e costosa. Quale miliardario che produce auto ed è invischiato nella politica potrebbe vedere questa campagna di cattivo occhio e decidere di intervenire col pretesto del wokismo per fare un danno al competitor? Esatto. «Vendete auto?», così ha commentato Elon Musk, tra le altre cose CEO di una grossa azienda che produce automobili elettriche. Jaguar, da parte sua, ha risposto invitando il patron di Tesla all’evento di dicembre a Miami in cui svelerà al mondo la sua nuova auto: «Sì. Ci piacerebbe mostrartelo. Unisciti a noi per una tazza di tè il 2 dicembre. I più cordiali saluti, Jaguar».
L’interazione, che ha scatenato ancora più dibattiti online, con ogni probabilità fa parte di una strategia studiata nei minimi dettagli a partire dall’approccio estremo al rebrand: Jaguar punta a generare curiosità e discussioni per far parlare del marchio in un momento di transizione cruciale da auto a combustione a full electric. Le critiche social servono a suscitare interesse, interazioni, a portare di nuovo in tendenza un marchio che era un po’ sparito dai radar.
Secondo gli analisti, questa è una scommessa che potrebbe ripagare nel lungo termine. Jaguar non vuole solo vendere auto elettriche, ma reinventarsi come simbolo di esclusività e innovazione. Il teaser della concept car che sarà svelata a Miami è solo il primo passo di una strategia che mira a ridefinire non solo il brand, ma anche le aspettative del pubblico. Il rischio, però, è perdere di vista il cliente in favore dell’attivismo e fare la fine di Harley Davidson.
La trappola della rete
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