La favola indecente di Mr. Bezos
Questa settimana, su Rifrazione, parliamo del matrimonio di Jeff Bezos a Venezia e di come l’Italia stia diventando sempre più una vetrina per ricchi, mentre il resto del Paese resta a guardare
di Jenny Scheiding
Dal 24 al 26 giugno 2025, Jeff Bezos sposerà la compagna a Venezia con una cerimonia da 600 milioni di dollari, blindando la città e trasformandola in vetrina per il potere. Mentre i media celebrano l’evento come un sogno, noi denunciamo l’oltraggio: una festa privata che incarna la spettacolarizzazione del privilegio e la svendita dell’Italia ai miliardari. Venezia, svuotata dai residenti, diventa scenografia di un sistema che celebra chi ha tutto, lasciando invisibili chi ha sempre di meno.
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Il matrimonio di Bezos e la cartolina dell’Italia svenduta
Dal 24 al 26 giugno 2025, Jeff Bezos trasformerà Venezia in un palcoscenico blindato per il suo matrimonio da 600 milioni di dollari. Tre giorni di festeggiamenti, 250 invitati al giorno, cinque hotel requisiti, tutta la flotta dei taxi prenotata. Lui arriverà sul megayacht Koru, un monumento galleggiante da mezzo miliardo. Il messaggio è chiaro: posso tutto e lo faccio sotto i riflettori.
Un tempo viva e abitata, oggi Venezia è il manifesto del privilegio che fagocita i luoghi. Dal 1951 a oggi ha perso oltre il 70 per cento dei suoi residenti. Il sestiere di San Marco ospita 11.500 letti turistici e solo 3.340 abitanti. Interi pezzi della città sono diventati hotel travestiti da case. E mentre la cittadinanza si estingue, il sindaco di centrodestra Luigi Brugnaro ringrazia per l’opportunità. L'importante è l'indotto. I milioni. La vetrina. Se poi la città affonda, poco male: i ricchi arrivano in barca.
Più che una favola, queste nozze sono un atto di forza. Un'esibizione brutale di potere travestita da romanticismo. Il capitale si prende anche l'immaginario, lo riscrive, lo impacchetta, lo distribuisce come contenuto virale. E i media, invece di criticare, applaudono. La Repubblica, Skytg24, Il Corriere della Sera contano i fiori, i piatti, le suite e raccontano «tutto quello che c’è da sapere sul matrimonio». Gramellini prova una battuta, ma si arrende subito al fascino del potere. «Il disagio non è per la sua ricchezza, ma per l’esagerazione con cui la ostenta», scrive. Certo, il problema è l’ostentazione, non un mondo in cui è normalizzato che una persona abbia un patrimonio netto di più di 200 miliardi. Libero coglie l’occasione per evidenziare l’ipocrisia della sinistra, a modo suo.
Nessuno che dica l'ovvio: che questo matrimonio è in realtà un oltraggio alla dignità collettiva. Non è normale blindare una città per una festa privata da 600 milioni di dollari. Non è normale che tutto questo venga raccontato come un sogno. A quanto pare, è il capitale che decide cosa è bello, giusto, normale. Bezos non è solo un uomo d'affari: è il volto del capitalismo che si celebra mentre schiaccia. Mentre si sposa in una delle città più fragili del pianeta, Amazon ha appena affrontato un anno controverso in Italia e nel mondo: scioperi, proteste, indagini per frode fiscale, rifiuto di adeguarsi al contratto nazionale della logistica. Ma chi se ne importa, vero? Il miliardario romantico è più fotogenico del datore di lavoro predatorio. La spettacolarizzazione del privilegio funziona così: anestetizza. E Venezia è il fondale, i cittadini sono comparse, il pubblico è a casa, pronto a mettere like.
Ma non è sola. A Firenze il centro storico è diventato un museo a pagamento gestito da Airbnb. Milano ha venduto immobili e quartieri di prestigio ai fondi d'investimento. Roma si svuota di cittadini, Matera si trasforma in set, il Lago di Como in un club esclusivo. Anche il CEO di Meta Mark Zuckerberg ha attraccato il suo megayacht sulle nostre coste: è la nuova normalità.
Open to meraviglia: l'Italia si sta convertendo in vetrina per chi può permettersela. Il resto può guardare. Può servire. Può andarsene. Questo matrimonio non è un evento mondano: è un monumento alla disuguaglianza. E mentre Bezos brinderà sul suo yacht, in Italia c’è chi non può permettersi una casa, chi lavora senza diritti, chi parte perché non ha scelta, chi scappa dalla sua città perché diventata inaccessibile o ostaggio del turismo di massa. Questo non è un matrimonio da sogno. È un promemoria brutale su chi vince, chi perde, e chi resta invisibile.
Donne e migranti: la partecipazione politica come rischio
In Italia, per donne e migranti essere cittadini attivi può significare esporsi a minacce e violenze. Sebbene la democrazia garantisca strumenti per far valere i propri diritti, chi vive una condizione di vulnerabilità rischia di pagare un prezzo troppo alto per farlo.
La ricerca di Gemma Dipoppa, docente alla Columbia University, mostra che una sindaca ha tre volte più probabilità di subire attacchi rispetto a un collega uomo e spesso rinuncia a ricandidarsi. Una dinamica che contribuisce alla scarsa presenza femminile nella politica locale.
Anche per i migranti irregolari denunciare lo sfruttamento comporta rischi: perdere il lavoro, essere rimpatriati o subire ritorsioni. Tuttavia, campagne informative condotte dai sindacati hanno dimostrato che, quando informati, molti migranti scelgono di esporsi, generando maggiore attenzione mediatica, interventi delle forze dell’ordine e una crescente solidarietà da parte dell’opinione pubblica.
Il genere e l’origine diventano così fattori che ostacolano l’accesso ai diritti, rendendo la giustizia una scelta difficile da permettersi.
Per approfondire questa storia, leggi l’articolo di Alessandro Bongiolo sul nostro sito.
Anche questa settimana con Rifrazione abbiamo provato a guardare il mondo da un’angolazione diversa, come facciamo con Prismag. Se te lo sei perso, trovi l’ultimo numero di Prismag - Sull’intersezionalità nel nostro shop: dentro ci sono voci, sguardi e domande che non trovano spazio altrove. Intanto, continuiamo a lavorare al numero 16, che sarà pieno di storie urgenti, necessarie e più vive che mai.
Ci rileggiamo la prossima settimana.