La battaglia di Los Angeles
I Rage Against the Machine sono qui a ricordare che ci hanno fregato
A Los Angeles si sta consumando una battaglia che va avanti da giorni. Scoppiati come reazione all’operazione anti-migranti lanciata da Donald Trump, gli scontri si sono trasformati in ampie contestazioni contro le politiche presidenziali e allargati ad altre metropoli. Se non ci si accontenta della colonna sonora a base di flashbang e manganelli per silenziare la rivolta, non ho dubbi su chi possa intonare il canto di ribellione: i Rage Against the Machine, formazione che nel panorama musicale statunitense costituisce l’eccezione, più che la regola.
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Nati a Los Angeles nel 1991, i RATM (Zack de la Rocha alla voce, Tim Commerford al basso, Brad Wilk alla batteria, Tom Morello alla chitarra) sono state una delle poche band USA in grado di raggiungere una certa fama proponendo contenuti ad alto tasso di politica e anticapitalismo. Ancora oggi suonano come un meteorite pronto a schiantarsi sulla Macchina - il complesso militare-industriale americano - e riportano a un’epoca pre G8 di Genova, quando l’alternativa sembrava credibile se non possibile. Che poi la Macchina sia stato brava a schivarlo, quel meteorite, è un argomento troppo complesso per una newsletter musicale.
Attivi fino al 2000, poi a singhiozzo e con meno fortuna negli anni successivi, dei tre album principali pubblicati dai RATM il primo fu quello che, più degli altri, fece scalpore per la capacità di dare voce a quel pezzo di giovani americani che si erano rotti il cazzo di come giravano le cose. Il suono RATM appartiene allo stesso “album di famiglia” dei System of a Down o dei Limp Bizkit: una sorta di rapcore in equilibrio tra barre e strumenti suonati live. Anche le scelte di stile sono un grido di rabbia contro la Macchina. Niente campionatori o synth: solo voce, chitarra, batteria e basso, in un momento storico in cui la scena rave, la techno di Detroit e l’house di Chicago stavano scrivendo le loro pagine migliori. E a differenza dei Limp o dei System, nell’equazione RATM c’è una variabile in più.
A grandi linee, la musica nata dall’underground è stata a volte di protesta, ma quasi mai politica (i Public enemy sono una doverosa eccezione). Senza scomodare la corrente afrofuturista che da Sun Ra passa da Grandmaster Flash, i rapper della West Coast hanno messo a fuoco la questione razziale ma quasi mai la critica è stata totale come di Zack de la Rocha e compari. Fuck tha police degli N.W.A., per esempio, è un manifesto contro i soprusi della polizia sulle persone non bianche ma non un manifesto di protesta anticapitalista. La musica dei RATM invece sì, ed è notevole se si pensa che ciò è accaduto in un Paese dove i loro progressisti potrebbero essere una qualunque destra moderata europea, vista anche la fobia degli USA per tutto ciò che può mettere in dubbio il sistema che della libera iniziativa privata ne ha fatto una religione.
I RATM sono il dito medio a tutto questo, e un’eccezione alle regole del mercato musicale: pubblicati dalla Epic (etichetta controllata da Sony America) sono arrivati al grande pubblico mischiando rivendicazioni contro le ingiustizie e antirazzismo, odio di classe e citazioni di Malcolm X su una strumentale grezza come un kalashnikov, in mano a un Viet Cong che scava tunnel nel cuore dell’America bianca. Con la differenza che Zack de la Rocha è un guerrigliero con una goccia di sangue messicana che usa il microfono come arma. Anche la scelta dell’etichetta non è casuale: come affermato dagli esponenti del gruppo, il loro obiettivo non è predicare ai convertiti ma aprire gli occhi di chi ancora è dentro Matrix (e non è un caso che Wake up fu usata come traccia nel film).
Quella dei RATM non è musica di evasione, non è un cantico nichilista. È preparazione al conflitto: non la colonna sonora per una causa isolata, ma un distillato d’odio contro il modo di vivere occidentale-coloniale nel suo complesso, prima che gli scontri di Seattle ‘99 e poi Genova 2001 reprimessero la protesta globale.
Although ya try to discredit, ya still never read it
The needle, I'll thread it, radically poetic
Standin' with the fury that they had in '66
And like E-Double "I'm Mad", still knee deep in the system's shit
Hoover, he was a body remover
I'll give you a dose but it can never come close
To the rage built up inside of me
Fist in the air in the land of hypocrisy
Movements come and movements go
Leaders speak, movements cease when their heads are flown
'Cause all these punks got bullets in their heads
Departments of police, (What!) the judges (What!), the feds
Networks at work, keeping people calm
You know they went after King when he spoke out on Vietnam
He turned the power to the have-nots
And then came the shot
Sarà anche per questo che fa sorridere vedere, dopo l’impegno politico dei Novanta, Tom Morello sul palco di Sanremo 2023 insieme ai Måneskin, lui che insieme agli altri trollò la censura imposta dalla rispettosa BBC alla loro Killing in the name (dal min. 4.20). Lui, che con il resto della band mise in piedi un concerto-guerrilla di fronte la borsa di New York (che fu costretta a fermare gli scambi per qualche minuto) e divenne il video di Sleep now in the fire girato da Michael Moore. Ho solo una cosa da aggiungere:
Al prossimo dirottamento.