Il Pride romano
Questa settimana parliamo della trentesima edizione della festa arcobaleno nella Capitale e di un gruppo di baschi orgogliosi che hanno girato il mondo
“Le bandiere hanno a che fare con la proclamazione del potere… Quella visibilità è fondamentale per il nostro successo e per la nostra giustizia” (Gilbert Baker)
Ciao! Sono Luce e questa, ormai lo sai, è Rifrazione, la newsletter di Prismag dove i dettagli contano.
Per il mese di giugno, Prismag ha deciso di parlare di “orgoglio”, ma già sai anche questo. Stavolta sono voluta partire da una citazione di Gilbert Baker. Baker è l’inventore della bandiera arcobaleno, simbolo della resistenza e della lotta della comunità LGBTQIA+. Il primo esemplare è stata realizzato per il Gay Pride di San Francisco del 25 giugno 1978. Pensa, Baker per l’occasione aveva cucito e tinto la bandiera con le sue stesse mani, insieme ad alcuni volontari. Inizialmente, i colori erano otto, poi, a causa dei costi elevati, sono stati ridotti a sei.
Ecco, ieri, 15 giugno, Roma era piena di bandiere arcobaleno sventolate con grande zelo da chi, in massa, si era riversato per le strade del centro per celebrare il Gay Pride.
E allora Rifrazione, oggi, non può che partire da qui. Dai cieli di Roma che per il trentesimo anno consecutivo si sono tinti di tutti i colori del mondo.
Ah, ovviamente dentro “Sull’orgoglio” troverai tante, tantissime storie diverse. Se vuoi, lo trovi qui! D’altronde, l’orgoglio è pieno di sfaccettature e noi di Prismag vogliamo dare colore (qualunque colore) alla notizia…
Partiamo.
Roma Pride 2024: 30 anni di battaglie, ma pesano alcune assenze
Sono passati trent’anni da quando, nel 1994, l’Italia ospitò il primo Gay Pride. E ieri Roma ha accolto la sfida di celebrare tre decenni di orgoglio, lotta e progresso. Il Roma Pride 2024, con il suo ricco carnet di eventi e la partecipazione di diverse figure di spicco, ha preso il via da Piazza della Repubblica e ha proseguito il suo cammino fino alle Terme di Caracalla, attraversando il cuore della Capitale. Annalisa, madrina dell’evento, con la sua “Sinceramente” ha fatto cantare e ballare i migliaia e le migliaia scesi in piazza, definendosi “emozionatissima”.
Il logo scelto per quest’anno, un albero imponente, è opera del colombiano Santiago Olivares, noto come SakoAsko, che lo ha definito il simbolo della resilienza e della crescita della comunità LGBTQIA+. Ogni “ascia” incisa sul tronco rappresenta le sfide, gli insulti e gli attacchi subiti, che però non hanno impedito né impediranno all’albero di continuare a crescere rigoglioso.
Il portavoce del Roma Pride, Mario Colamarino, ha ribadito l’importanza della manifestazione come atto di resistenza e di impegno continuo per i diritti e l’inclusione. A evidenziare il supporto (quasi) trasversale alla causa, la presenza di importanti figure politiche, come il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, e la segretaria del Partito democratico, Elly Schlein, insieme a una delegazione dei parlamentari del Movimento 5 Stelle.
Il segretario di +Europa, Riccardo Magi, ha colto l’occasione per sottolineare come i diritti LGBTQIA+ siano un indicatore dello stato di salute di una democrazia, lanciando uno slogan provocatorio che invita alla riflessione sulla laicità dello Stato (“Libera frociaggine in libero Stato”).
Eppure, nonostante l’atmosfera festosa, non sono mancati momenti di tensione. A pesare, in particolare, l’assenza della comunità queer ebraica, a causa di preoccupazioni legate a un clima di odio antisemita crescente. Un’assenza sentita come una sconfitta per tutti, come ha sottolineato Colamarino, che ha riaffermato l’importanza di un ambiente inclusivo e sicuro per tutti i partecipanti.
Euskadi, o dell’amore per la propria terra
Durante la guerra civile spagnola, alcuni calciatori baschi intrapresero un tour mondiale dal 1937 al 1939, assumendo un ruolo quasi militare sotto la guida del loro allenatore, Agirre. Obiettivo: raccogliere fondi per il conflitto e promuovere la cultura basca. È il 1976 quando, a San Sebastián, i capitani di Real Sociedad e Athletic Bilbao entrano in campo tenendo un’ikurriña, la bandiera basca allora proibita, simbolo di sfida e identità durante la transizione spagnola post-Franco. La partita diventa un atto di disobbedienza civile contro la repressione franchista.
Anche a guerra terminata, i giocatori baschi continuarono il loro viaggio per l’Europa, trovando sostegno ma anche resistenza, come nel caso degli incontri con le squadre sovietiche. Molti si stabilirono in Sudamerica, dove continuarono a giocare e a influenzare il calcio locale. Il tour non solo sostenne finanziariamente il Paese basco durante il conflitto, ma servì anche come rappresentazione dell’identità e della resistenza basca a livello internazionale.
Per conoscere tutta la storia, leggi l’articolo di Marco Roberti qui.
Orgogliosamente colorati
E così arriviamo alla fine. Spero che questo piccolo assaggio di “Sull’orgoglio” ti abbia stuzzicato la curiosità rispetto a storie di cui spesso si ignora l’esistenza.
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