Cattivi maestri
Le minacce ai figli di Meloni e Piantedosi sono la conseguenza della deriva polarizzante che stanno prendendo i social media
Non tutto è più politica. A volte, l’odio prende altre strade, più scivolose, più buie. A volte si sposta, si insinua, cambia forma. E arriva dove non dovrebbe mai arrivare: ai figli. È successo alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Il punto è che questo odio non nasce dal nulla. Viene amplificato, spinto, costruito. E i social c’entrano, eccome.
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«Auguro alla figlia della Meloni la sorte della ragazza di Afragola»
Un professore attivo in una scuola superiore della provincia di Napoli ha augurato alla figlia della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, la stessa sorte di Martina Carbonaro, la ragazza di 14 anni assassinata dall’ex compagno diciannovenne, colpita ripetutamente con una pietra e lasciata senza vita in uno stabile degradato ad Afragola, nel napoletano. Un’espressione talmente grave da mobilitare in poche ore governo, ministeri, opposizioni e opinione pubblica.
Il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, ha definito intollerabile che un insegnante, figura chiave nell’educazione delle nuove generazioni, si lasci andare a simili derive. Ha annunciato l’avvio di un’indagine interna e ha garantito sanzioni verso chi, con il proprio comportamento, disonora il ruolo educativo e sociale del corpo docente. «Nessuna tolleranza verso la violenza», ha sottolineato.
Anche Meloni è intervenuta. In un post ha denunciato la gravità di un odio che va oltre la critica politica e diventa minaccia verso una bambina di soli sette anni. «Esistono confini che non devono mai essere superati – ha scritto – e difenderli è responsabilità comune, al di là di ogni schieramento».
Ma la scia dell’odio non si è fermata lì. Anche le figlie del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi sono state prese di mira da un utente che, rispondendo a un suo post di solidarietà verso la presidente del Consiglio, ha esteso l’augurio di morte anche a loro.
Solidarietà unanime è giunta da altri ministri: Orazio Schillaci (Salute) ha parlato di parole «ripugnanti», Eugenia Roccella (Pari opportunità e famiglia) di «odio disumano» e Alessandro Giuli (Cultura) ha invocato una reazione compatta da parte di tutte le istituzioni contro quella che ha definito una «barbarie».
«Non basta più la solidarietà: serve una risposta esemplare», ha tuonato Galeazzo Bignami, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera. «La critica politica ha dei limiti: l’odio contro i bambini è disumano», gli ha fatto eco Ignazio La Russa, presidente del Senato. Da Arianna Meloni a Daniela Santanchè, da Antonio Tajani a Matteo Salvini, fino ai gruppi di maggioranza e opposizione, si è levata unanime la voce contro un fenomeno sempre più preoccupante: quello dell’odio che si riversa online, colpendo anche chi è estraneo al dibattito pubblico.
Le reazioni non sono mancate nemmeno dal centrosinistra. La segretaria del Partito Democratico Elly Schlein ha parlato di minacce «orrende e inaccettabili», richiamando tutti a un confronto politico che non scada mai nell’intimidazione. Messaggi di vicinanza sono giunti anche da Stefano Bonaccini, Simona Malpezzi, Pier Ferdinando Casini e dai vertici del Movimento 5 Stelle, con Giuseppe Conte che ha ricordato le minacce ricevute ai suoi figli durante il suo mandato, definendo l’episodio «un imbarbarimento che non auguro a nessuno».
Carlo Calenda ha espresso solidarietà alla famiglia Meloni e ha voluto ricordare anche la sofferenza della famiglia di Martina Carbonaro. Italia Viva, con Maria Elena Boschi e Raffaella Paita, ha condannato senza ambiguità ogni forma di odio verso i familiari dei leader politici, definendolo un attacco alla civiltà democratica.
Angelo Bonelli di Europa Verde, pur condannando con fermezza il post contro Meloni, ha richiamato alla coerenza chi oggi invoca rispetto, ricordando come in passato egli stesso sia stato oggetto di campagne diffamatorie e minacce, anche da parte di esponenti del centrodestra.
Dammi le tue emozioni: la manipolazione impercettibile dei social media
Sui social crediamo di essere liberi, ma spesso siamo spinti ad agire prima ancora di esserne consapevoli. Gli algoritmi, come denunciato da Frances Haugen, ex analista di Meta, premiano i contenuti divisivi perché generano più interazioni e tengono gli utenti connessi più a lungo, aumentando i profitti. Ma non è solo questione di visibilità: secondo l’ingegnere e studioso Giorgio Griziotti, oggi siamo entrati nell’era dell’economia delle emozioni. Le piattaforme digitali non si limitano a misurare stati d’animo: li producono, li orientano e li monetizzano. Interfacce, notifiche, suoni e colori sono studiati per suscitare reazioni specifiche. L’utente diventa così parte di un sistema che ne anticipa l’umore e guida le sue scelte, in un processo definito «asservimento macchinico». Un esperimento di Facebook del 2014 dimostrò che modificando i feed si poteva influenzare l’umore degli utenti. Oggi questa logica si espande con l’intelligenza artificiale, capace di spingere le persone in modo ancora più sottile e pervasivo.
Trovi l’articolo completo di Anna Chiara Borrello qui.
Un mondo diviso
L’odio non nasce dal nulla. Qualcuno lo semina, qualcuno lo amplifica, qualcuno lo trasforma in contenuto virale. E alla fine, finisce sempre per colpire chi ha meno strumenti per difendersi. I bambini, i familiari, gli affetti. Se un tempo ci si limitava a contestare le idee, oggi si prende la scorciatoia dell’attacco personale, spinti da sistemi che premiano indignazione, rabbia, istinti. È il momento di chiederci non solo chi scrive certe frasi, ma perché certi messaggi riescono a circolare così velocemente, senza incontrare ostacoli. Perché questo ci riguarda tutti. Per questo abbiamo dedicato il nostro numero di questo mese alla polarizzazione.
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Ci rileggiamo il prossimo weekend!