«Bored-of-it-all generation»
Questa settimana, su Hijack, Let them eat chaos di Kae Tempest
Ore 4.18: una tempesta notturna sta per colpire Londra, o un qualsiasi altro formicaio dove si sgomita tra sofferenze e dubbi pur di guadagnare un po’ di ossigeno. La pioggia scroscia sui tetti della spietata città-macchina, che valuta le persone secondo criteri di domanda/offerta. Più che il temporale, ad angosciare il sonno sono i fantasmi di una vita alienata e appiattita sul presente, l’unico orizzonte possibile. E come uno zoom che, partendo dall’alto, stringe il campo visivo su un solo particolare della megalopoli, con il suo Let them eat chaos (2016) Kae Tempest - che è appena uscita con un nuovo singolo - ha scelto di raccontare sette di queste vite.
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Uno dei mantra ripetuti a sproposito quando si parla di tecniche narrative è il cosiddetto “show, don’t tell” (non dirlo, mostralo); metti in scena i tuoi personaggi nascondendo i fili che li muovono. Un detto torturato negli anni quanto il termine resilienza, ma funzionale abbastanza per descrivere l’incedere di Kae Tempest.
«Picture a vacuum»
Classe 1985, londinese di nascita, Kae Tempest sta all’incrocio tra la politica e il rap, la poesia e lo spoken word. I versi non sono cantati o recitati, fluiscono in un periodare ritmico costruendo mondi con mattoni di parole. La forma-canzone cede il passo a una struttura vicina alla declamazione, dalla vaga attitudine hip hop. Più dei beat compatti e sobri, questa la vera potenza dell’album. Il suo secondo, dopo l’esordio Everybody down pubblicato nel 2014. Il suo terzo disco, The line is a curve, è uscito nel 2022.
Lo spoken word ha una lunga tradizione nei Paesi anglosassoni ma pochi rappresentanti in Italia; per via del suo carattere amelodico, ci può stare che risulti difficile. Ma se ci segui dall’inizio, avrai capito che noi non siamo qui per intrattenerti.
The people are dead in their lifetimes
Dazed in the shine of the streets
But look how the traffic's still moving
Let them eat chaos - nominato per il Mercury prize nel 2017 - racconta la notte in balìa della tempesta passata da sette persone che vivono tutte lungo la stessa strada nel sud di Londra, sette vite parallele divise dal cartongesso. Sette anime attraversate da sogni e paure, timori e rimpianti, ambizioni e dolori. Sentimenti analoghi a quelli che attanagliano la mente quando, nel buio del proprio appartamento dall’affitto troppo caro e il frigo sempre vuoto, arriva il momento di spegnere la luce sperando che il sonno arrivi prima dei demoni. Domani sarà un altro giorno di lavoro ma, prima che il sole sorga, sarà la tempesta a rompere il muro di indifferenza che aleggia tra i dirimpettai.
Questo l’espediente narrativo per celare il messaggio del disco: un manifesto d’accusa contro la società contemporanea, tradotto in versi per la «bored-of-it-all generation» (la generazione stanca di tutto ciò). Sulle vicende dei personaggi, tutte interessanti, non mi dilungo: scoprili tu, è un viaggio che vale la pena fare.
Il pezzo forse più iconico è Europe is Lost, singolo che ha anticipato l’uscita dell’album. Sembra una profezia avverata più che un brano, vista la sua capacità di reggere alla prova del tempo che, in ogni caso, sembra non essersi mosso negli ultimi dieci anni:
It's the bored-of-it-all generation
The product of product placement and manipulation
Shoot 'em up, brutal, duty of care
Come on, new shoes, beautiful hair, bullshit
Saccharine ballads and selfies and selfies and selfies
And here's me outside the palace of me
Construct a self and psychosis
Meanwhile the people were dead in their droves
And no, nobody noticed, well, some of them noticed
You could tell by the emoji they posted
Sleep like a gloved hand covers our eyes
The lights are so nice and bright and let's dream
But some of us are stuck like stones in a slipstream
What am I gonna do to wake up?
Alcuni potrebbero bollare l’album come un prodotto scontato. Io non sono d’accordo. Oggi che la pop music è più che mai funzionale all’apparato di repressione normalizzazione degli affetti, lavori come questo sono le crepe attraverso cui sbirciare un futuro sempre meno possibile. Non rimane che la poetica, straordinaria, adoperata da Kae Tempest per mandare a segno la sua critica personale.
Quando uscì, il Guardian ne parlò in questi termini:
Let Them Eat Chaos ha comprensibilmente avuto l'effetto di una bomba in una sala da té kitsch. Ma anche al di fuori di quel contesto, risulta straordinariamente potente. Si potrebbe sostenere che offra una lista ben nota di preoccupazioni liberal, ma quando la voce di Tempest cresce in rabbia sul ritmo metallico a metà di "Europe Is Lost", è difficile non lasciarsi coinvolgere. Questo in parte perché, sebbene i suoi bersagli non siano sorprendenti, la sua scrittura è spesso brillantemente acuta, specialmente riguardo al solipsismo della cultura pop odierna.
Dopo The Book Of Traps And Lessons del 2019 (che assomiglia più a una splendida raccolta di poesie che a un album) Tempest pubblica The line is a curve nel 2022, che mette la musica più al centro del palcoscenico e ospita la struggente Salt coast e il singolo I saw light in collaborazione con Grian Chatten dei Fontaines D.C.
«Non ci serve il permesso per splendere»
Mercoledì 19 marzo è uscito Statue in the square, il suo nuovo singolo. Grezzo, spigoloso e molto rap, Tempest spiazza gli ascoltatori di lungo corso con metriche in extrabeat per comporre un inno alle identità divergenti. Nel 2020, l’artista ha fatto coming out dichiarandosi come persona non binaria, identificandosi nei pronomi they/them.
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Al prossimo dirottamento.
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