A Davos si parla di futuro
Dopo mesi intensi, torniamo a informarti con le nostre storie extra numero. Questa settimana, un report sul lavoro dal World Economic Forum
«L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro». L’articolo 1 della nostra Costituzione ci dice che il lavoro è il fondamento etico, sociale ed economico dello Stato italiano. Non solo un mezzo per guadagnarsi da vivere, ma anche (e soprattutto) un diritto e un dovere che consente a ciascun cittadino di partecipare alla vita della comunità. Alla democrazia.
E cosa succede, allora, quando non tutti i cittadini riescono a godere di questo diritto? Succede che situazioni di marginalizzazione, frustrazione e perdita di autostima diventano sempre più frequenti, fino a creare fenomeni di alienazione sociale e malessere psicologico. Succede che le disuguaglianze economiche e sociali aumentano, le condizioni di povertà si aggravano e la frattura tra chi ha accesso a opportunità lavorative e chi ne è escluso diventa insormontabile.
Succede che l’insoddisfazione, il senso di ingiustizia e i conflitti sociali montano. Così come la sfiducia verso le istituzioni, viste come incapaci di garantire un diritto fondamentale, costituzionalmente riconosciuto. Succede che i consumi e il gettito fiscale si riducono, con gravi conseguenze sul sistema economico e il welfare. Il lavoro, poi, è spesso il mezzo attraverso cui si accede a diritti sociali come la previdenza, l’assistenza sanitaria e la pensione. Senza, molte persone rischiano di essere escluse da questi sistemi di tutela. Succede che il patto sociale su cui si fonda la Repubblica viene meno.
Dentro “Sul lavoro” troverai tante, tantissime storie in cui forse ti ritroverai anche tu. Storie di precari, di giovani in fuga all’estero, di gente che sceglie (volente o nolente) la vita in strada. Ma soprattutto, storie di coraggio.
Il futuro del lavoro tra tecnologia, sostenibilità e demografia
Il mercato occupazionale si prepara a un decennio di trasformazioni senza precedenti. Secondo il Future of Jobs Report 2025, pubblicato dal World Economic Forum (Davos, Svizzera) lo scorso 8 gennaio, saranno in particolare cinque i macrotrend che influenzeranno il mondo del lavoro: l’innovazione tecnologica, la transizione verde, la frammentazione geoeconomica, l’incertezza economica e i cambiamenti demografici.
Non è certo una novità che l’avanzamento dell’intelligenza artificiale (Ia) e delle tecnologie di automazione è destinato a ridefinire ruoli e competenze. Entro il 2030, l’automazione coprirà il 33 per cento dei compiti lavorativi (oggi siamo a quota 22 per cento). A guidare la crescita professioni come ingegneri dell’Ia, specialisti di big data e sviluppatori di software, mentre ruoli tradizionali come cassieri, segretari e addetti all’inserimento dati vedranno una drastica riduzione.
Ma non disperiamo, l’essere umano avrà ancora un ruolo fondamentale in questa rivoluzione: la nostra collaborazione con le macchine emergerà sempre di più come una strategia cruciale, capace di migliorare la produttività e permettere anche ai lavoratori meno specializzati di svolgere compiti complessi. Un ruolo di primo piano, poi, spetterà alla transizione verde. La lotta al cambiamento climatico sta infatti accelerando la domanda di professioni legate alla sostenibilità: ingegneri ambientali, specialisti in energie rinnovabili ed esperti di veicoli elettrici sono tra i ruoli in maggiore crescita. Tuttavia, la transizione verde richiede un massiccio investimento nella formazione: entro il 2030, il 59 per cento della forza lavoro globale dovrà essere riqualificato.
Occhi puntati, poi, sull’andamento demografico. L’invecchiamento della popolazione nei Paesi ad alto reddito e la crescita della forza lavoro in quelli emergenti creeranno squilibri significativi. Mentre le economie mature affronteranno una carenza di lavoratori qualificati, i Paesi in via di sviluppo potrebbero non riuscire a creare abbastanza posti di lavoro per una popolazione giovane in rapida crescita. Rispetto all’Italia, il rapporto “Demografia e forza lavoro”, curato da Alessandro Rosina, consigliere del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel), fornisce una panoramica interessante, ancorché preoccupante: in dieci anni, dal 2004 al 2024, l’andamento demografico ha ridotto la forza lavoro tra i 15 e i 34 anni da 7,6 milioni a 5,4 milioni.
E a propositi di giovani e giovanissimi, la diversità e l’inclusione stanno diventando sempre più priorità strategiche, con il 47 per cento delle aziende che prevede di espandere il proprio bacino di talenti attraverso politiche inclusive. Ad attenderci, quindi, un futuro incerto ma ricco di opportunità. Entro il 2030, si prevede una crescita netta di 78 milioni di posti di lavoro a livello globale. Allo stesso tempo, però, il 39 per cento delle competenze attuali sarà ritenuto obsoleto. Da qui, l’importanza di processi di upskilling e reskilling, con cui ognuno di noi dovrà sempre di più fare i conti. Le aziende si trovano quindi a un bivio: sfruttare la tecnologia per migliorare le capacità umane o rischiare di aumentare le disuguaglianze.
In questo contesto, una pianificazione strategica e investimenti mirati risultano imprescindibili per non farsi travolgere da un’onda impossibile da arginare.
L’altra faccia del Made in Italy
Il distretto tessile tra Prato e Pistoia, in Toscana, simbolo del made in Italy, nasconde una realtà drammatica: lavoratori migranti sottopagati, senza contratti regolari e senza misure di sicurezza, turni massacranti e violenze. Marchi famosi come Montblanc e Liu Jo sono stati accusati di sfruttamento, mentre il sistema di appalti frammentati favorisce il massimo ribasso sui diritti dei lavoratori, perlopiù provenienti da Asia e Africa. Chi prova a far valere i propri diritti, rivolgendosi a sindacati come Sudd Cobas, spesso subisce intimidazioni, licenziamenti o persino aggressioni fisiche, come dimostrano i casi di violenza documentati a Texprint e Dreamland. Nonostante alcune sentenze favorevoli, il fenomeno è alimentato da controlli insufficienti e un sistema opaco, in cui le grandi aziende si sottraggono alle responsabilità. Pagare sanzioni diventa più conveniente che rispettare le leggi e il fenomeno del “chiudi e riapri” permette di eludere ogni obbligo. Solo un impegno coordinato di istituzioni, sindacati e consumatori potrà cambiare un sistema che, per mantenere alta l’immagine del lusso, sacrifica i diritti fondamentali di chi contribuisce al suo successo.
Per conoscere tutta la storia, leggi l’articolo di Flora Alfiero qui.
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